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Tommaso Riccardi, nacque a Trevi il 24/6/1844, da Francesco e Maria Stella
Paoletti, terzogenito di dieci figli.
Fu battezzato nella vicina chiesa di S. Emiliano e, appena rinato col Battesimo, fu
deposto sull'altare dell'Addolorata, in atto di consacrazione (allora l'altare stava sulla
destra di chi entra, contiguo al Fonte Battesimale che occupava la prima delle tre absidi
verso la parete di ingresso).
Nel 1853 entrò nel Collegio Lucarini ove si distinse come
attestano numerose menzioni e medaglie conferitegli. Nel 1862, chiuso il Collegio Lucarini
per motivi politici, si pose sotto la direzione spirituale di Don Ludovico Pieri, un santo
sacerdote trevano, padre spirituale e ispiratore del beato Pietro Bonilli. Nell'atto di
licenziarsi dal Pieri per proseguire gli studi a Roma, questi gli profetizzava la
futura vocazione, ma Tommaso ebbe un gesto di ribellione e gettando a terra e pestando il
cappello che aveva in mano esclamò: «Se mi viene questa vocazione l'affogo» (1865).
Appena un anno dopo (12/11/1866), dopo un pellegrinaggio a Loreto e un corso di esercizi
spirituali, bussava alla porta dell'Abbazia di S. Paolo. Ammesso al noviziato (5/1/1867)
col nome di Tommaso, fu ordinato Suddiacono il 2/4/1870 e Diacono il 24/9/1870.
Chiamato di leva, richiese qualche giorno per terminare i suoi esami, ma
fu immediatamente dichiarato disertore. Giunto a Spoleto a perorare la sua causa, poiché
nel frattempo il governo piemontese che dominava anche su Roma aveva decretato l'amnistia,
si scoprì che il suo caso non vi rientrava e pertanto venne arrestato alle Fonti del
Clitunno, mentre rientrava a Trevi (5/11/1870). Tradotto a Firenze fu processato e
condannato ad un anno di reclusione, ma poi graziato e avviato al reggimento a Pisa
(30/12/1870), ma dopo accertamenti medici, dichiarato inabile, fu congedato il 27/1/1871.
Il 7 febbraio rientrava in S. Paolo dove il 10 marzo faceva la professione solenne e il 25
marzo veniva consacrato sacerdote.
Ebbe vari incarichi: Vice Maestro degli Alunni, Maestro dei Novizi, Vicario Abbaziale
delle Benedettine di S. Magno ad Amelia in due diverse epoche. Il 20/8/1994, mentre
lasciava il monastero di Amelia per rientrare a Roma per la sua salute cagionevole, una
monaca così scriveva di lui: «Don Placido è partito lasciando tutte nel più
profondo dolore. Austero con sé stesso, ma tutto carità per noi, specie le malate. La
sua carità si stendeva anche presso gl'indigenti di Amelia. Le sue virtù hanno destato
l'ammirazione di tutta la città».
Ma l'apoteosi dell'umiliazione e del trionfo della santità di don Placido si ebbe a
Farfa, dove fu inviato per tentar di salvare il salvabile. La gloriosissima Abbazia, già
potente al tempo dei Longobardi, era ridotta in condizioni miserrime. Travolta dalle
ultime vicende politiche, passati i suoi beni ai privati, era assolutamente inabitabile la
stessa dimora dell'Abate. Don Placido rivolse la sua attenzione alla gente, generalmente
poveri pastori che andavano da lui dopo la Messa della domenica. Nella loro estrema
indigenza venivano aiutati spiritualmente e materialmente. Nella sua prodigalità don
Placido si rammaricava di non possedere più neanche i propri effetti personali da donare
ai poveri, poiché quelli che possedeva vennero più volte rifiutati perché troppo
miseri.
Si dice che fornisse anche suggerimenti e rimedi medicamentosi descritti negli antichi
codici.
Dopo quasi venti anni di permanenza a Farfa, nel 1912, il suo fisico già da sempre
poco florido, ulteriormente fiaccato da una vita di penitenze e di privazioni, era tanto
debilitato che il sant'uomo dovette essere ricondotto a Roma. Visse ancora due anni e
mezzo, assistito dal suo discepolo ed amico don Idelfonso Schuster, poi cardinale, vescovo
di Milano e suo biografo.
Spirò la sera del 15 marzo 1915 e il giorno seguente, quando la salma fu trasportata
nella Basilica, per errore le campane suonarono a festa.
Nel 1925 il corpo fu traslato a Farfa e nel 1928 iniziò il processo di canonizzazione,
ma soltanto negli anni Cinquanta Pio XII lo proclamò Beato1.
A Trevi gli fu intitolata la strada che da piazza del Comune (piazza Mazzini) sale
verso la chiesa da S. Emiliano passando davanti alla sua casa, dove fu apposta una lapide.
A Roma porta il suo nome il grande piazzale retrostante la Basilica di S. Paolo, unica
piazza con il nome di un nostro concittadino! |